di Gabriella Lax

Foto Marco Costantino

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È un rituale di sosta e di passaggio. Attraverso la conoscenza dell’ombra/dolore il fardello dell’anima si alleggerisce e così essa può completarsi ed elevarsi. È nei variegati significati dell’ombra, intesa chiaramente nel senso Junghiano, che si trova la chiave del dotto amplesso musica/cultura dell’ultimo album di Vinicio Capossela “Canzoni della Cupa e altri spaventi” (diviso in due parti “Polvere” e “Ombra”), col tour domenica sera al teatro “Francesco Cilea” di Reggio Calabria grazie a Esse Musica del promoter Maurizio Senese. Una tournèe super simbolica anche nel giorno della partenza ufficiale, il 17 gennaio, dove si ricorda Sant’Antonio Abate e la festa della tradizione contadina durante la quale le stalle sono benedette insieme ai campi con grandi falò”, quel giorno in cui si dice che gli animali parlino.

Indispensabile l’ombra perché non avremmo una percezione totale di qualsiasi persona o oggetto senza di essa. L’ombra nostro fratello oscuro, invisibile, ma da noi inseparabile, parte del nostro unicum. L’ombra intesa come quelle caratteristiche personali che cerchiamo di nascondere agli altri ed a noi stessi. Ma più lo sforzo è intenso e protratto più l’ombra tenterà di emergere e compiere azioni malvage.

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Nella notte quanto mai azzeccata di luna piena, il concerto è un viaggio che inizia con lo spettatore proiettato nelle tenebre, flebili luci blu e i versi degli animali notturni. Civette e gufi con colori solitari e gli incubi che si manifestano nella solitudine del palco. Accompagno “Le creature della cupa” le antiche emozioni che emergono dall’inconscio collettivo dello spettatore, quei versi, pianti e lamenti che tutti abbiamo introiettato, dall’alba dei tempi. Scorza di mulo, Ol Pumminale, la notte di San Giovanni e si mescolano insieme antiche e nuove credenze nelle immagini raccontate con la foga espressiva che fa loro prender forma fino a ritrovarci le dita bagnate “nel letto del fango vermiglio, l’animella ha gettato del figlio dentro il letto del fango vermiglio e così se ne è andato l’imbroglio assieme alla fregola del coniglio” de Maddalena, la castellana. L’angelo della luce, La bestia del grano, Brucia Troia, Vinocolo, Dimmi Tiresia, fino a Le sirene che ci riportano a casa. Riportano vivi gli spettatori reggini imbevuti ed ubriachi del mito delle sirene che anima il mare tra Scilla e Cariddi. Le storie di folklore contadino si intrecciano coi miti del passato dando vita ad un incantesimo che ci lancia in mezzo ad un sabba. Peccato essere in teatro e non potersi lasciare travolgere da danze liberatorie e riti dissacranti dove il diavolo è amico, sorride e porta per man verso il tracollo che non è morte ma redenzione. Corvo torvo, Scivola via, Maraja, Sonetti/Pena d’alma, Pettarossa, Lo sposalizio di maloservizio, Il lutto della sposa, Il treno, infine l’attesa Il ballo di San Vito la catarsi dell’anima matura che abbandona il velo, come sul palco cade l’invisibile telo trasparente sul quale sono stati proiettati luci e incubi (grazie a tulle e specchi dell’“animatrice d’ombre” Anusc Castiglioni ed alle macchine di Max Zanelli) per il ritorno alla luce.

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E poi arriva la parte “reggina”, quella delle dediche alla città. Il cantautore di Hannover conosce le caratteristiche musicali della nostra terra, dalla chitarra battente di Francesco Loccisano, gli Skunchiuruti, all’omaggio dovuto al maestro Otello Profazio che se la ride sotto i baffi seduto tra il pubblico fino a Tony, il matto della città, e le sue canzoni omaggio ai Beatles ed a Bob Marley. Litanie e profezie in musica che non distolgono dai fatti pratici. «Lo stretto necessario» spiega Capossela, invocando uno “Stretto di Reggio” e non di Messina, almeno a tratti, bocciando il ponte megagalattico e promuovendo invece i sogni di fratellanza tra i popoli che si affacciano su quest’area del mare. Beve birra e prosegue dopo il bis lo spettacolo. Fondamentali per la riuscita dell’incantesimo i musicisti:  Alessandro “Asso” Stefana (chitarra, armonio e campionatori), Glauco Zuppiroli (contrabbasso), Vincenzo Vasi (percussioni, campioni, theremin, voce), Peppe Leone (tamburi a cornice, percussioni, mandolino, violino agricolo, voce), Giovannangelo De Gennaro (viella, flauti, aulofoni, strumenti antichi e voce) ed Edoardo De Angelis (violino). L’ingegnere del suono è Taketo Gohara. Il progetto luci è di Daniele Pavan, con la supervisione artistica di Loic Hamelin. Il direttore di produzione è Michele Montesi.

Esaustivo e mai sazio Vincio Capossela, soddisfa tutti, ma proprio tutti, i palati degli spettatori che portano a casa un regalo carismatico e indimenticabile: abbiamo lasciato andare l’immagine piatta e fallace di un corpo senza ombra e abbiamo accettato il dolore/ ombra che, nel cambiamento, ci ha trasformati in creature plastiche/consapevoli.

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