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Di Gabriella Lax

Dimenticate tutto quello che avete letto di Alessia Gazzola finora. Almeno se volete essere critici lucidi. Fate finta che non abbia scritto nulla. Può essere tante cose un segreti: in questo romanzo è una spada di Damocle che non mette a rischio la vita della nostra protagonista ma che le toglie il respiro e la tiene chiusa, serrata nei margini della paura. A nulla serve lo scenario selvaggio e incantato che la Gazzola dipinge nell’isola immaginaria di Levura. La protagonista, Lena cerca proprio nell’isola di ritrovare se stessa, per farlo tuttavia il passaggio dalla tempesta e dal dolore sarà inevitabile. Si avverte una tensione crescente, man mano che tutti i personaggi entrano in scena: come se tutti i pezzi del puzzle, per una serie di casualità, stessero concorrendo a posizionarsi nella loro parte della storia. Tutto si mette in modo che il segreto se non svelato possa essere risciolto, libero e innocuo, proprio come accade alle onde che smettono di fracassarsi alla fine della burrasca. Dei passati romanzi resta in piedi una protagonista femminile ben diversa da quelle divertenti, buffe, a tratti, e scanzonate. Comprendiamo il bisogno dell’autrice di staccarsi dalle felice figura letteraria di Alice Allevi che tanto bene le ha portato finora. Il personaggio di Lena, anche se frutto di ricerche ed empatia, non suscita quelle emozioni a cui ci aveva abituati Alice. Lena appare leggera, quasi ectoplasmatica, e nello stesso tempo, con un fardello di tristezza pesante che il lettore avverte. E la bellezza della natura dell’isola, per contrasto, enfatizza tutto questo peso. Il rovesciare le carte poi, a poche pagine dalla fine, è un coupe de théatre poco credibile e inverosimile: uno scherzo della memoria, cambia le premesse. La scrittura della Gazzola è, come sempre piacevole, ma riesce a tenere incollati solo chi la ama veramente. Per il resto si sente la necessità di sbarazzarsi di questo velo di tragico inutile che pervade il romanzo. Nonostante il lieto fine.

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